sabato 28 febbraio 2009

1943 – Attacco a New York



* Junio Valerio Borghese
“Dopo un anno di prove ed esperienze condotte sul lago d'Iseo dal sottotenente di vascello Massano, ad alcune delle quali avevo partecipato, era stato messo a punto il sommergibile d'assalto, il CA, adattandolo alle sue nuove funzioni; contemporaneamente a Bordeaux, ove frattanto il comando della base dei nostri sommergibili atlantici era stato assunto dal capitano di vascello Enzo Grossi, si erano concretizzate le possibilità, da me sperimentate, di servirsi di un sommergibile oceanico per il trasporto del CA in vicinanza della base nemica. Due operazioni erano in preparazione con questo mezzo : un attacco contro New York, risalendo col CA l'Hudson fino al cuore della metropoli; l'effetto psicologico sugli americani, che non avevano ancora subito alcuna offesa bellica sul loro territorio, superava di gran lunga, nel nostro proposito, il danno materiale, che si sarebbe inflitto (ed il nostro fu, a quanto mi risulta, l'unico piano praticamente realizzabile progettato per portare la guerra negli Stati Uniti). L'altra operazione prevedeva un attacco contro l'importante piazzaforte inglese di Freetown (Sierra Leone), sede della squadra navale del Sud-Atlantico. Le indubbie difficoltà che tali operazioni a vasto raggio presentavano erano in gran parte compensate dalla completa sorpresa; la comparsa dei mezzi d'assalto della Marina italiana, i quali avevano fino allora limitato la loro azione al settore Mediterraneo, non era certo prevista: misure difensive contro tale inatteso tipo d'attacco non erano presumibilmente in atto. L'azione contro New York, in stato di avanzata preparazione, era stabilita per il mese di dicembre 1943”.

* da Rapidi e invisibili, a cura di Alessandro Marzo Magno, il Saggiatore, Milano 2007
Nel dicembre del 1943 reparti speciali della X Flottiglia Mas erano pronti ad attaccare il porto di New York. Il piano prevedeva il trasporto di un minisommergibile del tipo CA fino a Fort Hamilton, da qui il mezzo con a bordo una squadra di Uomini-gamma avrebbe risalito il fiume Hudson fino a raggiungere il porto, dove gli incursori subacquei, sguinzagliati per i fondali, avrebbero colpito con appositi ordigni esplosivi il naviglio agli ormeggi.
Dal punto di vista strettamente militare i danni sarebbero stati limitati e di scarsa importanza, ma sotto il profilo psicologico l’azione avrebbe avuto un effetto devastante. Per la prima volta una potenza militare straniera avrebbe colpito gli Stati Uniti sul proprio territorio nazionale. Un atto di sabotaggio, un attentato che potremmo definire di terrorismo se non fosse stato ideato nell’ambito di un conflitto mondiale dove la distinzione fra obiettivi civili e militari non aveva semplicemente senso, in nessuno degli schieramenti in campo.
A oltre cinquant’anni di distanza da quella missione mai realizzata, e in un contesto nemmeno paragonabile a quello del dicembre 1943, l’attentato alle Torri gemelle compiuto dai terroristi islamici avrebbe raggiunto un risultato simile a quello che si era proposto la Regia marina italiana: portare la guerra sul suolo americano, infliggere un colpo psicologico durissimo a una nazione lontana dalle distruzioni e dal sangue sparso nel resto del mondo.
Sin dall’inizio del Secondo conflitto mondiale, per gli strateghi dell’Asse gli Stati Uniti erano un obiettivo lontano e difficile: i tedeschi non riuscirono mai a portare i loro sabotatori oltre le maglie dell’intelligence americana per colpire le industrie belliche al di là dell’oceano, mentre dopo Pearl Harbour i giapponesi avevano sì mandato un sommergibile a bombardare la costa della California, ma il risultato furono solo danni di minima entità e tanta confusione. Un episodio ascrivibile più alle curiosità e alle tragiche bizzarrie di ogni guerra che non a un’azione tale da essere ricordata nei libri di storia.
Attaccare il porto di New York avrebbe invece avuto ben altro impatto, anche sotto il profilo strategico. Lo sapeva bene il comandante della X Mas, Junio Valerio Borghese, lo sapevano i vertici della Marina, lo sapevano gli uomini che per quasi un anno si addestrarono alla missione.
L’attacco al porto di New York, al quale avrebbe dovuto fare seguito analoga incursione nella base africana di Freetown, nella Sierra Leone, non fu portato a termine per il sopravvenuto armistizio. Ma tutto era pronto per quella che sarebbe stata senza dubbio la più spettacolare delle missioni speciali dei mezzi d’assalto della marina. L’azione era affidata alla X Flottiglia Mas, reparto d’incursori le cui origini vanno rintracciate alla fine della Prima guerra mondiale. Negli anni successivi al Primo conflitto mondiale la Regia marina lavorò al perfezionamento dei mezzi insidiosi sulla base del successo ottenuto da Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci con l’affondamento della «Viribus Unitis», pensando soprattutto a come modificare la «mignatta», l’apparecchio progettato fra mille difficoltà da Rossetti e utilizzato per affondare la corazzata austriaca. Nello stesso tempo vennero perfezionate le tecniche di immersione subacquea con la progettazione e la sperimentazione di nuovi autorespiratori. La crisi etiope favorì lo sviluppo dei mezzi insidiosi, ma fu solo nel 1939, con l’avvicinarsi della guerra in Europa, che fu deciso di assegnare più uomini e risorse al settore, in particolare alla I Flottiglia Mas.
Per meglio seguire come si sviluppò il progetto dell’attacco diretto alla costa degli Stati Uniti, bisogna tornare agli aspetti strettamente tecnici delle missioni della X Mas, quella specifica propensione a porre l’ingegno al servizio dello sforzo bellico, che certo non era esclusiva di quel reparto, ma che trovò fertile terreno nella «sostanziale impermeabilità a fattori esterni» caratteristica delle formazioni speciali, e in particolare della X Mas.
È in questo quadro che si affaccia un altro protagonista chiave del progetto dell’attacco al porto di New York, Eugenio Wolk, l’ideatore degli Uomini-gamma, protagonisti di molte missioni segrete sotto i mari fra il 1942 e il 1945 e anche nell’immediato dopoguerra. Wolk approdò nel 1941 ala Scuola sommozzatori di Livorno, diretta da Angelo Belloni (protagonista del secondo capitolo di questo libro).
Le tecniche di esplorazione subacquea sono ancora agli inizi, ma è lì, nelle basi segrete della marina, che si studia il passaggio dal vecchio palombaro al moderno sommozzatore. L’idea cara a Belloni di soldati in marcia sul fondo del mare era, come riconobbe subito lo stesso Wolk, «fuori dalla realtà». I fanti di marina erano equipaggiati con una tuta impermeabile, un autorespiratore a circuito chiuso con due bombole, scarponi zavorrati da palombaro con puntali in bronzo muniti di «denti» per non scivolare sul fondo, una bussola, orologio da polso, sacchi supplementari, compensatori di peso, manometro da profondità. L’incursore portava poi sulle spalle una bomba a forma di bidone del peso di 50 chili. Così conciato, il fante di marina doveva uscire - di notte - da un sommergibile posato sul fondo del mare, camminare anche per due o tre chilometri fra correnti improvvise e insidie nascoste, superare reti e sbarramenti a difesa dei porti, raggiungere le navi alla fonda, piazzare gli ordigni e tornare indietro. Un’evidente follia.
Insomma l’attacco così come era concepito non poteva funzionare. L’immagine da «Ventimila leghe sotto i mari» di uomini armati a passeggio sul fondo molto difficilmente avrebbe potuto portare ai risultati sperati. Bisognava cambiare tattica, anzi bisognava cambiare il modo di concepire l’incursione subacquea intesa come avvicinamento di truppe all’obiettivo. Wolk ne parlò con Borghese, e la soluzione individuata fu la più ovvia: gli uomini in acqua non dovevano camminare, ma nuotare. Gli incursori non dovevano assomigliare a guerrieri medievali ma piuttosto si dovevano confondere con i pesci, e come questi muoversi. Dunque via gli scarponi pesanti, via le zavorre e la tuta impermeabile, via gli orpelli ingombranti. Wolk progettò una muta di gomma che fosse il più possibile resistente e aderente al corpo, sotto la quale l’incursore indossava una tuta di lana e sopra la quale un’altra tuta leggera doveva proteggere dagli strappi e dalle lacerazioni. Ma soprattutto Wolk inventò un accessorio allora ancora sconosciuto e che in seguito avrebbe goduto di planetaria fortuna: le pinne.
Pietro Spirito

* Lapo Mazza Fontana, Italia über alles - La X Mas: per la patria contro tutti, Boroli, Milano
Il volume prende spunto da un episodio poco noto della seconda guerra mondiale: il progettato e mai avvenuto attacco dei sommergibili e dei reparti d’incursori della Xa MAS contro il porto di New York, programmato per l’autunno del 1943.

*
1942. Attacco a New York
Nel giugno del 1942 il sommergibile Leonardo da Vinci doveva distruggere il porto di New York: un piano militare studiato durante la Seconda Guerra Mondiale dalla Regia Marina. Il Leonardo da Vinci fu però affondato ad aprile nell’Atlantico e la missione fu rinviata a ottobre. Ma a settembre l’Italia firmò l’armistizio. Il fantastorico romanzo di Marcello Tessadri [Fermento, Roma 2008] ricostruisce in una narrazione mozzafiato questo attacco che solo per una serie di circostanze non è stato messo in atto.

* L'attacco della Xa flottiglia Mas contro New York
di Cristiano D'Adamo

Per gran parte degli storici, le attività della Xa Flottiglia MAS si limitarono al Mediterraneo. Effettivamente, nei primi mesi della guerra, l'unità si concentrò solamente su obiettivi britannici entro il bacino del Mediterraneo. Sfortunatamente, il poco saggio ma audace attacco contro l’isola di Malta del 25 luglio 1941 distrusse un grande numero di ufficiali e sottufficiali altamente addestrati ed anche la maggior parte della struttura di comando dell'unità. La responsabilità di continuare l’attività della Xa Flottiglia MAS cadde sul comandante di una delle sue due divisioni: Junio Valerio Borghese. Questo ufficiale, che si era già distinto per la sua abilità di portare incursori e “maiali” in prossimità delle basi nemiche di Gibilterra e Alessandria, diventò il cuore e l’anima della Xa Flottiglia MAS. Dopo la guerra, il comandante Borghese narrò le gesta della Xa MAS nel suo ben noto libro. Dopo la capitolazione dell’8 settembre, il Comandante Borghese decise di continuare a lottare a fianco dei tedeschi nell’Italia Settentrionale, modificando la Xa Flottiglia MAS in una formazione in gran parte di terra e con funzioni anti-partigiane. Alla fine del conflitto, quando appariva sicuro il suo imprigionamento, nonostante la Medaglia di Oro al Valore Militare ricevuta durante il conflitto, Borghese decise di trasferirsi in Spagna in un esilio volontario che durò fino alla sua morte.
Il ruolo di Borghese nella Xa Flottiglia MAS fu di grande importanza. Quest’uomo non solo era un ufficiale in comando, ma anche un leader. Borghese, come più tardi scrisse, intuì perfettamente il valore dell’ “effetto psicologico sugli americani che non avevano ancora subito guerra offensiva su loro proprio suolo”. Dal suo punto di vista, condurre un attacco fuori del Mediterraneo era di grande importanza. L'idea era audace, ma realistica. I tedeschi avevano preparato piani simili che contavano su sabotatori da infiltrare negli Stati Uniti per poi danneggiare la produzione industriale, ma il loro piano non ebbe successo. Questi attacchi furono resi vani dal sistema d’informazioni americano, che era già molto sviluppato, e dalla natura insulare del continente americano stesso. Dopo l'attacco di Pearl Harbor, I giapponesi inviarono un sommergibile a bombardare la costa della California provocando solamente danni di minima entità e tanta confusione.
Borghese intendeva portare la guerra sul continente americano conducendo un'azione che sarebbe stata dimostrativa, che avrebbe avuto un limitato valore militare in termine di danni inflitti, ma un enorme valore in termine di effetti psicologici. Il piano, di cui oggi abbiamo solamente limitata documentazione, contemplava il trasporto di un'arma insidiosa nei pressi di “Fort Hamilton”, New York, per poi far si che questi navigasse con i suoi propri mezzi sul fiume Hudson, raggiungendo il porto di New York per istallare cariche esplosive sotto alcune delle navi ormeggiate lungo il pontile Ovest. A causa della natura del porto in questione, e la distanza di New York dall’oceano, l'uso di un S.L.C. (maiale) non era ne adatto ne pratico. Nel Mediterraneo, la Xa Flottiglia MAS aveva usato sommergibili vettore dotati di tre contenitori cilindrici montati sul ponte. In seguito, i cilindri divennero quattro e furono istallati sulle fiancate della carena. I cilindri furono usati per proteggere i S.L.C. dalle intemperie, ma rendevano la navigazione più difficile e, a causa delle loro dimensioni, estendevano il profilo del battello, aumentando, così, il rischio di essere localizzati. La Xa Flottiglia MAS avrebbe dovuto cercare un sistema diverso per l'attacco contro New York; un mezzo elaborato per missioni più lunghe che proteggesse il suo equipaggio dalle intemperie, piccolo di dimensioni e poco visibile. La soluzione sarebbe trovata in un deposito nel porto militare di La Spezia.
Il mezzo in questione, noto come il CA, era l'invenzione della Caproni, ditta originalmente fondata da Giovanni Caproni noto per la costruzione di moderni aeroplani, vincitori di molte gare nel mondo. Durante la crisi del 1935, quando l’Italia era sull'orlo di una guerra con la Gran Bretagna e la Marina militare italiana istituì quello che più tardi diverrà la Xa Flottiglia MAS, alla Caproni fu chiesto di collaborare con la Regia Marina nella costruzione di una nuova arma d'assalto. Questa collaborazione tra la ditta aeronautica e la Marina militare era strana, ma permise l'introduzione di idee ingegneristiche nuove ed uniche nel campo tradizionale dell'ingegneria navale. Caproni cercò la collaborazione di un ingegnere navale e selezionò Vincenzo Goeta, un consulente navale indipendente con uffici a Genova. Il progetto Goeta-Caproni, come sarà conosciuto più tardi, fu presentato dopo alcuni mesi al Comitato del Disegno Navi della Marina militare, una comitato presieduto dal Generale del Genio Navale Umberto Pugliese, ufficiale di grande ingegno e ben conosciuto per l'invenzione di un sistema di protezione subacqueo che porta ancora il suo nome. Il progetto fu presentato alla Marina militare all’inizio del 1936 che fu approvato tre mesi più tardi; questa rapidità d’approvazione fu un grande incoraggiamento, specialmente considerando che le idee proposte dalla ditta Caproni erano insolite e molto innovative.
Caproni chiamò questo mezzo “motoscafo sommergibile”, ma era in realtà un sommergibile. Nei piani della Caproni, questo piccolo mezzo era l'equivalente di un aereo da caccia; l’esperienza della ditta nel campo aeronautico era un fattore importante nel progettare il mezzo e la sua possibile utilizzazione tattica. Sfortunatamente, la Marina militare non era pronta ad abbracciare queste idee nuove e piuttosto originali, ma allo stesso tempo c’era abbastanza interesse nel proseguire con “il Progetto G.” La costruzione iniziò in un capannone alla fabbrica di Caproni di Taliedo, vicino a Milano. Questo minuscolo sommergibile aveva uno scafo resistente con cappelli semisferici ai due estremi. Casse di zavorra, lanciasiluri e altra componentistica furono istallati esternamente allo scafo resistente. Il progetto prevedeva un equipaggio di due uomini: l'ufficiale al comando avrebbe occupato un posto speciale dal quale aveva accesso al periscopio ed i controlli, soprattutto alla leva di controllo (cloche), come su un aeroplano ed anche alla strumentazione di navigazione che assomigliava più ad un caccia che ad una camera di manovra. L’altro uomo dell’equipaggio sarebbe invece stato nelle vicinanze del motore in posizione supina dato che non c’era abbastanza spazio per alzarsi in piedi.
I primi prototipi furono consegnati alla Marina nel 1938 in segretezza totale. Caricati su speciali vagoni ferroviari e mimetizzati, questi strani battelli vennero trasportati sul Lago d’Iseo, vicino Brescia e Bergamo. Questo lago di modeste dimensioni raggiunge una profondità massima di circa 250 metri ed ha un perimetro di 60 chilometri. Il lago ha la forma di una esse con un’isola di piccole dimensioni al centro. I primi collaudi confermarono le buone qualità dei mezzi e consentirono la correzione di alcuni difetti e il miglioramento della componentistica. Naturalmente, a causa della mancanza di salinità, la riserva di spinta era differente dal mare, così i collaudi continuarono a Venezia. All’arsenale di Venezia, cantieri navali questi con una lunga ed illustre storia, tre giovani ufficiali iniziarono le prove ufficiali. Questi erano i Tenenti di Vascello Totti, Gatti e Meneghini. Gli ulteriori collaudi confermarono la presenza di problemi già noti, in gran parte aventi a che fare con la sensibilità dei controlli. Il sommergibile era in grado di navigare in superficie alla velocità di 7 nodi e sommerso alla velocità di 5 nodi. Inoltre, i due siluri da 450 mm furono lanciati molteplici volte senza alcun inconveniente.
Completati i collaudi a Venezia, i due sommergibili vennero mandati a La Spezia, la più grande base navale italiana. L’esperienza acquisita durante le prove del CA 1 e del CA 2 indussero gli ingegneri ad aumentare il dislocamento di 4 tonnellate, raggiungendo così le 20 t.s.l. Successivamente i due prototipi furono abbandonati in un deposito, lo stesso deposito dove verranno trovati dalla Xa Flottiglia MAS. Dato che erano stati abbandonati da più di due anni, i due sommergibili non erano in buone condizioni e fu deciso di rimandarli in fabbrica per la revisione ed anche per apportare alcune modifiche. Una volta modificati, i due battelli sarebbero stati adatti per la Xa MAS; i due siluri furono rimossi e sostituiti da otto cariche esplosive da 100 Kg ciascuna. Queste cariche sarebbero state posizionate manualmente sotto la chiglia delle navi nemiche da incursori. Il motore diesel fu rimosso dato che questi battelli avrebbero dovuto operare come i maiali e, quindi, entro il raggio d’azione dei motori elettrici. Altre modifiche inclusero la rimozione della falsa torre e del periscopio. Con i motori termici rimossi, il secondo membro dell’equipaggio diventò l’operatore alle cariche esplosive. L’equipaggiamento per gli incursori fu lo stesso usato dagli operatori dei maiali; consisteva in una muta di gomma ed un respiratore a circuito chiuso ad ossigeno puro.
Alla fine di questi lavori, i CA erano da considerarsi nuovi mezzi. Il raggio d’azione era limitato a 70 miglia, ma la velocità in immersione fu aumentata a 6 nodi, mentre la profondità massima fu collaudata a 47 metri; ottime prestazioni per un battello di così piccole dimensioni!. Ulteriori collaudi evidenziarono altri difetti, alcuni di grande importanza. Le cariche esplosive sistemate nelle cavità lasciate dalla rimozione dei tubi lanciasiluri nella parte inferiore dello scafo facevano si che il rilascio degli ordigni fosse alquanto macchinoso. Di conseguenza, le due cavità furono eliminate e le cariche esplosive furono poste quasi al livello con il ponte. La pompa Calzoni fu considerata troppo rumorosa (questo era un problema su tutti i sommergibili italiani) e, pertanto, fu rimossa per essere sostituita con una azionata manualmente da uno dei due membri dell’equipaggio. Durante i collaudi del CA 1 sul Lago D’Iseo, il battello ebbe una piccola avaria ed affondò per poi essere recuperato, ma il battello non sarebbe stato in grado di essere usato per un considerevole periodo di tempo. Quindi, alla Xa MAS non rimase che un battello pronto per l’uso: il CA 2.
Prevedendo il ricondizionamento del CA 1 in un breve periodo di tempo, il Comandante Borghese prese in considerazione due attacchi in Atlantico: uno contro la base britannica di Freetown, ed uno contro New York. Per trasportate i mini sommergibili in loco, Borghese aveva bisogno di sommergibili vettori, ma quelli assegnati alla Xa MAS erano troppo piccoli per le operazioni oceaniche. Quindi, a detta del suo memoriale, Borghese cercò di ottenere sommergibili in prestito dalla Kriesgmarine, ma pare che l’Ammiraglio Doenitz, comandante delle forze sottomarine tedesche, non poteva farne a meno di nessuno. Se un sommergibile tedesco fosse stato disponibile, le probabilità di successo sarebbero state in gran parte superiori perché gli U-boot erano più nuovi, più manovrabili e meno soggetti ad avarie degli oramai vecchiotti battelli nazionali.
Durante questo periodo, la Marina Italiana operava ancora in Atlantico dalla base navale di Bordeaux, e i battelli italiani erano adatti per la missione a causa del loro notevole dislocamento, ma purtroppo c’era pochissima disponibilità. Il comandante della base era il Contrammiraglio Romolo Polacchini, più tardi sostituito dal Comandante Enzo Grossi, famoso per aver sostenuto di aver affondato ben due navi da battaglia americane. Polacchini, si dice, mise i battelli all’immediata disposizione di Borghese, mentre più tardi Grossi incoraggiò e diede assistenza alla missione. Il sommergibile vettore selezionato fu il Leonardo Da Vinci, un battello oceanico della classe Marconi al comando del Tenente di Vascello Gianfranco Bazzana Priaroggia (il battello era in precedenza al comando del Comandante Luigi Longanesi-Cattani , un sommergibilista di grande talento le qui qualità furono certamente apprezzate dal Comandante Borghese. A detta degli autori Schofield e Carisella, durante le prove a mare Borghese stesso fu al comando del sommergibile. Anche se possibile, questo fatto sembra poco realistico dato che Borghese non aveva mai comandato un battello di queste dimensioni e complessità.
Il Leonardo Da Vinci era uno dei battelli più attivi della flotta italiana. Il 1 luglio 1942, rientrò a Bordeaux dopo una lunga missione nella quale furono affondate ben 20.000 t.s.l. di naviglio nemico. Al suo arrivo a Bordeaux, il battello fu mandato in arsenale per essere trasformato in sommergibile vettore per il CA 2. Sotto la direzione del Maggiore Giulio Feno, capo del Servizio Genio Navale, il cannone prodiero fu rimosso e alla sua base fu costruita una culla tra la struttura resistente dello scafo e il ponte. Il mini sommergibile sarebbe stato alloggiato nella culla con circa un quarto dello scafo sotto il ponte ed il resto sporgente, ma senza ostruire la vista dal ponte comando della falsa torre. Due grandi ganci metallici a forma di tenaglia avrebbe assicurato il CA al battello. Anche se non si sa per certo, pare che il sommergibile vettore fosse in grado di erogare energia elettrica per la ricarica delle batterie a bordo del mini sommergibile.
Le prove a mare cominciarono nel settembre del 1942. Il 9 settembre, il Da Vinci uscì in mare con il suo carico dorsale per prove di rilascio e riattracco. La stessa difficile e noiosa manovra fu ripetuta varie volte fino al 15 dello stesso mese quando fu accertato che tutto era in ordine. Il Da Vinci avrebbe potuto partire in pochi giorni, ma era ancora troppo presto. La missione era programmata per dicembre, quando la luce diurna è breve e le tenebre della notte danno agli operatori più tempo possibile per penetrare nel porto nemico e posizionare le cariche esplosive. In aggiunta, la Xa aveva poche informazioni circa la situazione in New York e si stava cercando di ottenere ulteriori notizie. Per ragioni che ci sfuggono, la missione fu spostata al dicembre del 1943, ma ciò non avvenne mai. Alcune fonti secondarie asseriscono che Borghese era in attesa della consegna dei CA 3 e CA 4, due mini sommergibili più nuovi ed avanzati [ad esempio, secondo questa fonte: “Gli uomini della Decima MAS rimandarono l'attacco a New York ritenendo indispensabile costruire una evoluzione del CA. 2 con caratteristiche specifiche al trasporto di commandos e cariche esplosive. Nella primavera del 1943 il progetto del nuovo minisub è terminato e presso lo stabilimento della Caproni si inizia a costruirne due esemplari, denominati CA. 3 e CA. 4. Contemporaneamente e segretamente degli uomini della Decima MAS raccolgono informazioni sui porti di New York e Freetown”]. Nel frattempo, il 6 maggio il T.V. Bazzana Priaroggia fu promosso “per servizi in guerra” al grado di Capitano di Corvetta, ma pochi giorni dopo, il 22 maggio, il Da Vinci lanciò l’ultimo messaggio radio informando la base che stava iniziando la navigazione silenziosa. Il battello era atteso a Bordeaux entro una settimana, ma non arrivò mai. Nel 1945, l’Ammiragliato britannico confermò che il 23 maggio alle 11.35 (T.M.G.) il cacciatorpediniere “Active” e la fegata “Ness” avevano condotto un attacco al largo di Capo Finestrelle. Non ci furono sopravvissuti e la Xa Flottiglia MAS aveva perso l’unico sommergibile vettore e l’unico comandate addestrato al rilascio e riattracco del CA.
Pochi mesi dopo, l’8 settembre 1943, l’Italia annunciò l’armistizio con gli alleati. La maggior parte della Marina aderì alle clausole dell’armistizio e, anche se ufficialmente ancora operante, Betasom cessò di esistere. Il CA rimase a Bordeaux sotto il controllo tedesco e quando la città fu evacuata nel 1944, questi fu abbandonato. Nel 1945, il CA 2 fu ritrovato a Bordeaux su un vagone ferroviario adagiato su blocchi di legno e incatenato. Lo scafo era quasi intatto, inclusa l’elica, ma i piani di controllo erano stati rimossi. Non si sa quando, ma il piccolo sommergibile fu demolito. Gli altri sommergibili della classe CA andarono anche loro persi, alcuni in circostanze ancora misteriose, e tutto quello che rimane sono alcune fotografie sbiadite. Dopo l’armistizio, sia la Royal Navy che la U.S. Navy si interessarono molto alla Xa MAS e ne studiarono le tattiche con grande scrupolosità. Le tradizioni di questo piccolo gruppo sono ancora vive nelle forze speciali di molte marine.

* per mare… e per cielo
L'andamento sfavorevole del conflitto costrinse a ridurre progressivamente il numero delle missioni della Xa flottiglia Mas. Vennero comunque valutate e pianificate azioni in Sudafrica (importante scalo per gli Alleati) e fino nel fiume Hudson a New York, ma non vennero mai realizzate. In particolare l'azione contro il porto di New York venne valutata sia come azione in solitario della Xª Flottiglia MAS, che nella prospettiva di missione di supporto per l'azione della Regia Aeronautica denominata Operazione S. In questo caso un sommergibile della decima avrebbe dovuto effettuare un rifornimento in pieno Oceano Atlantico come scalo tecnico per l'idrovolante CANT Z.511. L'idea venne giudicata troppo azzardata, e la Regia Aeronautica optò successivamente per una missione senza scalo con un quadrimotore Savoia-Marchetti S.M.95. Anche questa missione rimase allo stadio di progetto per l'armistizio.

* Operazione S
aprile 1942 - settembre 1943
[dall’ultimo capitolo del volume di Luigi Romersa, Le Armi Segrete di Hitler, ristampato da Mursia nel 2005]
L’idea dell’attacco dall’aria, sul genere di quello compiuto su Vienna da Gabriele D’Annunzio verso la fine della Prima guerra mondiale, fu ventilato dal generale dell’aeronautica Attilio Biseo, detentore di record, trasvolatore dell’Atlantico del Sud e del Nord con il maresciallo Italo Balbo e comandante della brigata aerea «Leone», allorché venne convocato a Roma dal capo di stato maggiore generale Ugo Cavallero, per informazioni sulle caratteristiche operative dei nuovi velivoli da caccia MC 203, scelti da poco per la produzione in serie. Era l’aprile del 1942. A quella riunione, svoltasi a Palazzo Vidoni, in corso Vittorio Emanuele, partecipò anche l’ingegner Armando Palanca che, presso il reparto sperimenta le di volo di Guidonia, aveva seguito le prove di omologazione del bellissimo velivolo da caccia. L’amico Palanca mi parlò così di quella segretissima riunione: «Si discusse naturalmente della guerra aerea sia inglese che americana, dei pesanti bombardamenti nemici sui centri abitati e, a un tratto, il generale Biseo disse: “Pensate quale potrebbe essere l’effetto sulla popolazione americana, che si sente tanto sicura e tanto lontana dal conflitto, del lancio di alcune bombe su un abitato ad altissima densità come Manhattan...”. La frase, buttata lì, provocò il consenso dei presenti ma non venne approfondita. Ci si limitò ad esaminare superficialmente i vari aspetti dell’impresa e soprattutto le non poche difficoltà poiché si sarebbe dovuto compiere un volo di 12.000 chilometri, quasi del tutto in cieli controllati dal nemico... Cavallero ascoltava comunque interessato, annuiva a volte con il capo e a volte scrollava invece la testa a sottolineare le difficoltà e i pericoli che presentava l’attacco. A un dato momento il generale Biseo se ne uscì con una battuta che lasciò tutti i presenti piuttosto sorpresi. “Anche noi”, disse infatti, “dovremmo fare come loro e attaccare qualche sito che per la sua lontananza dall’Europa viene considerato sicuro al cento per cento. Vi ricordate l’effetto che fecero le bombe sganciate su Tokyo da un apparecchio isolato americano, decollato da una portaerei e piotato da Doolittle?” Cavallero lo guardò fra il curioso e il divertito. Si alzò gli occhiali sulla fronte e ribatté: “Niente da fare, caro Biseo; d’accordo per l’effetto psicologico, ma noi non abbiamo portaerei...”. Fece una pausa, rimise a posto gli occhiali e aggiunse: “Comunque ne prendo nota. Ne parlerò alla prossima riunione dei capi di stato maggiore e natu- ralmente con il Duce”. Trascorsero alcuni mesi e del raid su New York nessuno parlò più. “L’8 novembre 1942” - mi raccontò sempre Palanca – “improvvisamente, l’idea di Biseo tornò d’attualità e, come esperto di voli transoceanici, venni convocato alla Piaggio, a Pontedera, per partecipare, in qualità d’ispettore per gli armamenti aerei e di tecnico di motori d’alta quota, a una riunione organizzata dal generale Fernando Silvestri e promossa dal capo di stato maggiore dell’aeronautica, generale Rino Corso Fougier, alla quale intervennero anche il sottocapo, generale Ilari, il capitano Publio Magini, l’ammiraglio Luigi Sansonetti e un capitano di vascello, sommergibilista. In quell’occasione fu decisa l’azione dimostrativa contro la zona sud di Manhattan, utilizzando, per il volo, battezzato in codice “Operazione S”, un idrovolante quadrimotore Cant. Z511, progettato dall’ingegner Filippo Zappata.

Per quell’epoca, si trattava di una macchina gigantesca, destinata al trasporto civile, la quale, però, nonostante la sua con- siderevole autonomia, avrebbe dovuto compiere un rifornimento in pieno Atlantico; ecco, pertanto, la ragione della presenza all’incontro di Pontedera, di un ammiraglio e di un ufficiale sommergibilista” Secondo il piano, a rifornire il Cant. Z, infatti, avrebbe dovuto provvedere un sottomarino, appostato in un punto dell’oceano situato più o meno a metà della rotta seguita dall’idrovolante. L’aereo doveva partire da una base della Francia occidentale, fare tappa in mare, riempire i capaci serbatoi e proseguire per New York. “Tutto bene” - precisò Palanca – “fino a che la discussione rimase a livello accademico, ma quando i generali Silvestri e Ilari, in pieno accordo con me, cominciarono ad esaminare i particolari della missione, si profilarono non poche difficoltà. La prima, riguardava l’ammaraggio e la partenza in pieno oceano con il mare quasi sempre agitato e con il rigoroso rispetto del silenzio radio, mentre l’altra era rappresentata dai dubbi sollevati dalla marina, sull’esito e l’efficacia del raid, a seguito di una serie di prove, piuttosto deludenti, compiute con l’aereo dal 12 al 20 novembre 1942 all’idroscalo di Vigna di Valle. In teoria, l’apparecchio doveva avere un’autonomia di 6.000 chilometri il che avrebbe reso necessario un solo rifornimento ma i motori di cui era munito, i P. XII R.C.33 oltre a dare scarso affidamento per la tenuta, data la lunghezza del volo, si dimostrarono autentici divoratori di carburante”. I contrattempi, comunque, non furono sufficienti per indurre le autorità militari ad accantonare l’operazione. Il 22 novembre, infatti, fu scelto il secondo pilota, nella persona del capitano Armando Ulivi della LATI e, due giorni dopo, con la partecipazione degli incaricati di Supermarina, fu definita l’attrezzatura per il rifornimento in mare e furono fissate le modalità per rendere il travaso del carburante, dal sommergibile al velivolo, il più agevole e rapido possibile. il giorno 23 novembre, al termine di una meticolosa serie di prove, lo stato maggiore dell’aeronautica commissionò alla Piaggio, con la massima urgenza, una serie di motori da installare sul Cant. Z 311 più potenti al decollo e di minore consumo rispetto a quelli di cui disponeva il prototipo dell’apparecchio destinato al lunghissimo volo. A questo punto, a titolo di cronaca, va detto che l’idro era stato ordinato nel 1937 dall’Ala Littoria per i collegamenti con il Sud America e fabbricato nel maggio del 1940 dai cantieri di Monfalcone. Sul principio, quando venne collaudato, il mastodontico idroplano sembrò interessare più la marina che l’ae- ronautica, la quale intendeva utilizzarlo per azioni d’assalto «Avio-Gamma», la prima delle quali, con un balzo di 4.300 chilometri, doveva concludersi con il bombardamento del porto persiano di Banda Shapur, da dove partivano gli aiuti inglesi per l’Unione Sovietica. Trascorsi dodici giorni dalle richieste delle autorità aeronautiche, a tempo di record, è il caso di dire, la Piaggio spedì a Vigna di Valle sei propulsori di nuovo tipo che, in brevissimo tempo, vennero montati sull’aereo. Nonostante, però, i ritocchi tecnici, la marina espresse altri dubbi, sicuramente fondati, tanto che in Page 3 una delle ultime riunioni, l’idrovolante venne definitivamente scartato. Neanche l’accantonamento dell’idro, però, significò la rinuncia alla temeraria impresa, e difatti, al suo posto, fu scelto un quadrimotore terrestre, l’SM93, in avanzata fase di costruzione, dotato di oltre 12.000 chilometri di autonomia, in grado perciò di compiere il viaggio di andata e ritorno senza rifornimenti intermedi. Era la macchina che occorreva per realizzare con successo l’Operazione S. Il 3 gennaio 1943, il capo di stato maggiore dell’aeronautica, generale Fougier, convocò il sottocapo, generale Ilari, il colonnello Porru Locci e il capitano Magini per definire il programma operativo dell’im presa. Nel corso di altre due riunioni, a distanza di poco più di una decina di giorni, furono discussi e risolti i restanti problemi presentati dal difficile volo. Il quadrimotore doveva partire dalla Francia occupata ma tornare direttamente in Italia. Nel maggio del 1943, il progetto venne sottoposto all’approvazione di Mussolini. Il Duce volle sapere i nomi dei piloti, le caratteristiche della macchina, poi, scrollando la testa, disse: “Tutto bene, ma niente esplosivo. Non andiamo per fare danni, ma per dimostrare che, nonostante l’esistenza dell’oceano per cui l’America si sente al sicuro, possiamo raggiungerla quando vogliamo. Invece di bombe, che so io, su Manhattan potremmo lanciare arance siciliane, appese a paracadute tricolori”. L’esclusione delle bombe, permise di accrescere ulteriormente il carico di benzina, calcolato in 23.800 litri e che garantiva di coprire un tragitto di oltre 13.000 chilometri. Tutto era ormai deciso, la macchina e gli uomini erano pronti, ma quando fu effettuata l’ultima prova dei motori, improvviso arrivò l’armistizio.

Post Scriptum
Trascrivo, a ricordo del frenetico lavoro d’allora per la realizzazione dell’attacco a New York, previsto per i primi giorni di settembre del 1943, le ultime pagine delle note scritte di suo pugno dall’amico Armando Palanca, pianificatore della famosa “Operazione S”. Si tratta di storia rimasta a lungo segreta e che, come tante altre, finirà in qualche archivio, non per essere dimenticata, ma rammentata sia oggi che domani e soprattutto per non far torto a un amico che mi ripeteva spesso: “Ricorda, mai rifuggire dal proprio passato”.
15-16 maggio 1943: visitato lo stato di avanzamento dei lavori del SM93. Richiesta una maggiore quantità di carburante per poter rientrare direttamente in Italia. In tale occasione è stato fatto presente che il Duce non intende far lanciare alcuna bomba su New York, ma soltanto arance di Sicilia con paracadute e quindi nessuna attrezzatura bellica.
27 maggio 1943: determinata la quantità massima di carburante che l’aereo poteva contenere: 23.800 litri, sufficienti per oltre 13.600 chilometri al regime di massima autonomia.
16-18 luglio 1943: approfondito lo studio delle eliche per adattarle alle specialissime condizioni di im piego in modo da evitare la messa in bandiera, quando la potenza necessaria per il peso ridotto, è molto bassa.
2 agosto 1943: S.I.A.I. Sesto Calende, verifica stato avanzamento lavori e relativa sistemazione impianti speciali. Constatato fra le maestranze un certo rilassamento date le note vicende politiche del 23 luglio.
settembre 1943: S.I.A.I. 5M93 in fase finale di allestimento. Previsto il primo volo con tutta la strumentazione definitiva preparata appositamente dalla Salmoiraghi il 9-10 settembre 1943.
2-3 settembre 1943: visita alla Salmoiraghi, decentrata in Brianza, e assistito al collaudo dell’autopilota e degli orizzonti.
8-9 settembre 1943: Pontedera. Officine Piaggio. Sala prova motori. Annuncio per mezzo dell’EIAR da parte del maresciallo Badoglio della fine delle ostilità con le Nazioni Unite. Termina così questo bellissimo e affascinante lavoro...!


* sintesi dell’operazione S di Mario
Il Cant. Z. 511 fu progettato a partire dal 1937 per le esigenze di trasporto transatlantico di passeggeri. Lo sviluppo come aereo da trasporto civile non subì variazioni nel progetto nonostante la guerra. Solo nel 1942, quando il primo di due prototipi uscì dalla fase sperimentale, si pensò ad un suo impiego “bellico”. Dapprima si pensò di usarlo per trasportare a grande distanza nuclei di sabotatori della Marina e spie, poi per evacuare prigionieri di guerra dal mar Rosso, ma non vi fu mai un reale impiego operativo. Si arrivò così al 7 febbraio 1943 quando il gen. Ilari, Sottocapo di S.M. per le Costruzioni della Regia Aeronautica, presiede una riunione tecnica in cui si delinea l’ipotesi di impiegare il CZ 511 per un volo su New York, con decollo da Bordeaux ed ammaraggio in Atlantico, nel volo di ritorno, per rifornirsi di carburante da un sommergibile. In un primo momento si pensò al lancio sulla città di due (dico due! ) bombe di piccolo peso da far uscire dal portellone laterale (questo perché l’aereo era un trasporto passeggeri e non un bombardiere) poi si optò per il classico lancio di un grosso carico di volantini di propaganda, Vienna docet! A fronte dell’irrisorio danno che potevano causare le due modestissime bombe, si voleva dare risalto agli aspetti di propaganda con un volo di alto valore tecnico. Tuttavia, passando alla fase di pianificazione operativa, la missione fu annullata perché si ritenne troppo pericoloso l’ammaraggio per il rifornimento. Infatti a quei tempi non si potevano fare previsioni di sorta sulle condizioni meteo incontrate sulla rotta atlantica e soprattutto sullo stato ondoso dell’oceano al momento dell’ammaraggio. Fu così che l’aereo rimase fermo allo stato di prototipo sul lago di Bracciano dove, l’8 settembre 1943 o giù di lì, fu preso a picconate (si, a picconate ) nei galleggianti e fatto affondare. Il secondo esemplare, in avanzata fase di costruzione presso gli stabilimenti di Monfalcone, fu invece preso a mazzate (dico mazzate! ) dagli operai e reso inutilizzabile. Per la storia, nell'agosto 1943 (quindi ben dopo il 25 luglio fatidico ) lo Stato Maggiore della R.A. pensò di utilizzare per il lancio di volantini su New York il prototipo del Savoia Marchetti 95, che era un altro aereo da trasporto passeggeri in fase di costruzione (a guerra quasi finita e... persa!!!), ma l'8 settembre era di lì a pochi giorni... e tutti sappiamo come andò a finire

* Hitler e il progetto Amerikabomber
* Sänger Amerikabomber
* Luftwaffe Over America
* Ho XVIII

Nessun commento:

Posta un commento